Uno, Nano Banana e Centomila
- Luca Bacini
- 5 set
- Tempo di lettura: 3 min

Qualche giorno fa, il Washington Post intitolava un suo articolo con una domanda semplice ma d’impatto: "Masterful photo edits now just take a few words. Are we ready for this?". Difficile dare una risposta rapida senza prendere in considerazione tutte le conseguenze di questa nuova rivoluzione AI.
Nano Banana è il nuovo modello di intelligenza artificiale di Google specializzato nell'editing delle immagini. La sua promessa, sintetizzata dal payoff :“Keeping you, you”, è estremamente chiara. Questo modello permette di mantenere intatta la tua identità riuscendo però a cambiare interamente il contesto, l’ambientazione e perfino i dettagli del tuo look con un semplice prompt di testo.
Si tratta di un superpotere che rende accessibili operazioni grafiche complesse in pochissimo tempo, garantendo coerenza ai volti, ai brand e allo storytelling. Ma proprio qui nasce il primo paradosso, la tecnologia che assicura di mantenere sempre “Te stesso” è la stessa che ti fornisce strumenti per generare deepfake estremamente credibili, conservando il volto intatto anche quando lo scenario circostante viene stravolto.
La seconda contraddizione riguarda invece l’aspetto tecnico. Uno strumento così potente fatica a gestire funzioni banali come un crop o un aspect ratio. La situazione ricorda una voce che dice “posso creare nuove versioni di te e del mondo, però non ho tempo per una banale funzione che esiste già da trent’anni”. Una capacità dirompente accompagnata da limiti di utilizzo che sembrano quasi ridicoli.
Allo stesso tempo, la percezione popolare di questo strumento si sta rapidamente riducendo a un semplice: "Porta i tuoi selfie al livello successivo". Si parla di un nuovo giocattolo, un modo più veloce per rendere i tuoi scatti migliori, tralasciando le sue implicazioni a livello di marketing, etica e conseguenze sociali.
Navigando per il web o sui social, si trovano già tante persone che si sono affrettate a definire Nano Banana il “Photoshop killer”, ma questo è, a mio avviso, un errore di valutazione. La sua forza non risiede nell’atto di “uccidere” un software ma nell’essere riuscita a cambiare il centro di gravità della creatività. La capacità di modificare un’immagine in pochi secondi sposta il valore dalla manualità all’immaginazione, dall’operatività alla creatività.
Questa è la vera rivoluzione. In passato l’abilità si misurava sulla capacità tecnica di usare un pennello digitale, oggi la misura è la chiarezza della visione. La domanda da porsi diventa “Cosa voglio creare?” e non più “Come faccio a realizzare questa cosa?”.
Quando ogni immagine appare credibile, il rischio però e che l’idea stessa di autenticità scivoli via portandosi con sé il concetto di verità visinva. In questo scenario l’effetto wow lascia spazio a un’esigenza diversa, perché l’attenzione si sposta sulla fiducia che accompagna un contenuto. Un’immagine capace di durare nel tempo ha bisogno di mostrare con chiarezza la propria provenienza e le modalità con cui è stata generata. Per questo entrano in gioco trasparenza, watermark affidabili e policy chiare, elementi che restituiscono sicurezza a chi guarda e trasformano una creazione da esercizio effimero a strumento con un impatto reale.
Potremmo quasi considerare questa situazione come una moderna versione di Uno, Nessuno e Centomila di Pirandello. Se l’intelligenza artificiale crea "centomila" immagini di noi, l'identità autentica, l’"uno", rischia di disperdersi nel caos delle rappresentazioni, diventando ahimè "nessuno".
L'innovazione di Nano Banana ci spinge a guardare oltre le competenze tecniche, il valore si sposta verso la visione e verso la fiducia. In questo nuovo scenario il marketing si confronta con il paradosso pirandelliano: se l’intelligenza artificiale genera centomila immagini di un brand, il compito di chi comunica diventa proteggere quell’unicità che rischia di dissolversi nel caos delle rappresentazioni.
La domanda che resta è la stessa da cui siamo partiti: “are we really ready for this?”
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