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Skibidi Boppy - Forza Marketing!

  • Luca Bacini
  • 24 lug
  • Tempo di lettura: 3 min
Skibidi Boppy

Se il 2024 ha eletto “brain rot” parola dell’anno, il 2025 la sta trasformando in un modello di business. Skibidi Boppy sono due parole assurde, ripescate dal vocabolario del nonsense, che hanno iniziato a comparire all’interno di prompt testuali per generare video fatti con l’ausilio dell’AI.

Con il rilascio di Veo 3, il sistema text-to-video di Google, basta inserire una descrizione generica di una scena per ottenere in pochi secondi un video completo di personaggi, ambientazioni e voce sintetica. Il successo del trend nasce dalla ripetizione costante dello stesso schema, che nel tempo si è trasformato in un codice visivo immediatamente riconoscibile.

Ogni video segue una struttura ormai codificata, con ambientazioni grottesche, suoni distorti e uno “Skibidi Boppy” finale urlato in modo teatrale. Anche quando il contenuto dice poco, conserva tutto ciò che serve per catturare l’attenzione: durata ridotta, forte riconoscibilità, massima replicabilità.


TikTok e Instagram hanno colto il meccanismo e lo hanno trasformato in un formato virale, facile da replicare e impossibile da ignorare. Wired ha registrato un tasso di crescita a tripla cifra: solo tra il 14 e il 21 luglio, i video con l’hashtag #SkibidiBoppy e le sue varianti sono più che raddoppiati.

La parola Skibidi entra nel lessico pop nel 2018, quando il gruppo russo Little Big la trasforma in una hit virale che gioca con lo scat jazz e l’assurdo. Nel 2023 arriva Skibidi Toilet, serie animata in cui teste umane spuntano da WC, e da lì il nonsense si consolida come linguaggio riconoscibile e replicabile.


Primum ridere, deinde vendere.

Bastano solamente due secondi per attivare una risata improvvisa ed è proprio in quel piccolo spazio temporale che può provare a inserirsi un brand. Il nonsense diventa il contenitore, mentre il contenuto vero finisce in secondo piano. Serve meno l’idea, conta di più la forma in cui viene presentata.

Nel gergo online, questo si chiama brain rot, un’etichetta ironica che molti creator e utenti si attribuiscono da soli. L’Oxford University Press l’ha selezionata come parola dell’anno proprio per questa ambivalenza: da una parte evoca degrado, dall’altra è diventata un forte strumento di autoironia.

La questione però non ha nulla a che fare con l’intelligenza di chi guarda ma si riferisce principalmente alla progettazione dei contenuti e delle piattaforme. Esiste infatti una ricompensa rapida, quasi automatica, che genera piacere e trattiene l’attenzione.


È qui che entra in gioco il neuromarketing, che deve intercettare quel momento in cui l’attenzione si aggancia a qualcosa di rapido, assurdo, coinvolgente e far passare il messaggio. Non serve dire molto, basta trovarsi nel momento giusto, quando il cervello si apre per una frazione di secondo. È una forma di esposizione emotiva leggera, non invasiva ma costante, che rimane nella memoria perché colpisce i punti fragili dell’attenzione e lascia un segno riconoscibile.


Provate a fare un test. Aprite Instagram o TikTok e guardate dieci video uno dopo l'altro e poi provate a ricordarli. Quanti riuscireste a riassumere con una frase? Quanti si riducono a un suono, una scena o una parola senza senso?


Skibidi Boppy ha aperto una crepa. Se il "nonsense" funziona così bene, il compito del marketer cambia profondamente. Serve capire come inserirsi in quel flusso di stimoli veloci e riconoscibili. I brand devono trovare il modo di lasciare un segno, anche se breve e apparentemente irrazionale, in quel "brain rot" che ormai domina le piattaforme.

È una sfida e un'opportunità unica perché oggi, chi ti fa ridere subito, ha già vinto. Il resto è solo rumore ben confezionato.

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